Solo i clienti che hanno effettuato l'acquisto di questo prodotto possono lasciare una recensione.
-
Ata Issa Khasaf
Ata Issa Khasaf
IL VENTO GIOCA CON LA POLVERE – Diario poetico in memoria di Umberto Eco
Un omaggio musicale
Nel febbraio 2016 ero a Milano, al Castello Sforzesco, al funerale di Umberto Eco.
Un evento doloroso, ma sorprendente: ogni allievo che ama il suo maestro, intimamente lo ritiene immortale, pur avendolo visto invecchiare, almeno nel fisico. Mentre aspettavamo fuori dal Castello, insieme a una folla sterminata, c’erano altoparlanti, qua e là, che trasmettevano una musica a me molto familiare. Erano i pezzi per viola da gamba, dal Secondo Libro di Marin Marais, nell’interpretazione di Jordi Savall, e tra questi le variazioni sul tema de La folía.
Non so se esista una musica che nella mia vita io abbia ascoltato più volte di questa. In certi periodi ha rappresentato una vera ossessione, che si allargava alla ricerca delle variazioni sul medesimo tema scritte da altri autori; e ce ne sono tante: Frescobaldi, Lully, Couperin, Geminiani, Corelli, Vivaldi, J.S. e C.P.E. Bach e persino Rachmaninov. Sono tutte belle e interessanti, ma la versione di Marais è superiore a tutte, per la serena malinconia che trasmette, insieme con un orfismo al tempo stesso travolgente e compassato.
Perché proprio questa musica veniva diffusa al funerale di Umberto? Quello che supponevo (ma non osavo ammettere) mi fu confermato un paio di anni dopo da Renate Eco, incrociata del tutto per caso sul treno: semplicemente, era la sua musica preferita, che ascoltava spessissimo. Tutti sapevamo della sua passione per la musica antica; tutti lo avevamo sentito suonare, mediocremente ma appassionatamente, il flauto dolce. Ma scoprire troppo tardi questa estrema convergenza di gusto, proprio su quello specifico brano di Marais, faceva percepire ancora di più il senso di mancanza, il cordoglio, la sensazione di avere sprecato mille occasioni.
Ata Khasaf suona il violoncello, lo strumento moderno più simile e vicino alla tramontata viola da gamba. Questo libro è una sorta di De Profundis, un Requiem, una Lezione di Tenebre di gusto (musicalmente) barocco, una serie di variazioni sul tema del cordoglio e del rimpianto. Ata, di origine irakena, espatriato (e mai rientrato) ai tempi di Saddam Hussein, mio compagno di dottorato di ricerca a Bologna con Eco, ha vissuto in seguito in Olanda, per stabilirsi infine a Londra, dove tutt’ora risiede, suona il violoncello e scrive poesia.
«Dolce breve requiem / fiori di poesia / siano la mia offerta / a sua perpetua / memoria / per quel che infine ha raggiunto / e fatto». È il componimento 121, l’esplicitazione del programma che sta dietro a tutto il libro. Non è facile capire quali influenze agiscano sul verso di Khasaf. Lui scrive in inglese (tradotto in italiano con attenzione da Alberto Nocerino, altro compagno di quegli stessi anni), ma la sua formazione primaria sarà necessariamente avvenuta in arabo, e questa formazione avrà influenzato la sua ricezione delle varie letterature di un’Europa dove ha passato ormai quasi tutta la vita.
I temi che si succedono in questi componimenti sono dunque quelli classici di un compianto funebre: il mistero della morte, la vanità della vita, l’affetto per lo scomparso, le sue passioni, la sua grandezza, la malinconia. Difficile trovare una collocazione per questi versi nel panorama della poesia italiana contemporanea: il fatto è che semplicemente non le appartengono, e nemmeno appartengono a quella inglese, benché sia l’inglese la lingua in cui sono stati stesi. Quando evoco un’ascendenza barocca, non penso né a Giovan Battista Marino né ad Alexander Pope. Non è nemmeno il melodramma, benché ci troviamo già un poco più in zona. John Dowland, semmai, e forse più il musicista che il poeta.
Sarà che non posso leggere e rileggere questo libro senza risentire la passione di Marin Marais, e come riviveva funebremente, ma anche con armonica e serena malinconia, quel giorno al Castello Sforzesco. Credo che a Umberto sarebbe piaciuto questo omaggio più musicale che poetico, nonostante le apparenze, questo tombeau, che ci ricorda Couperin, il medesimo Marais, e poi Stravinsky, Ravel, Aubert…
Dalla prefazione di Daniele Barbieri
€ 12,00
Sinossi
Un omaggio musicale
Nel febbraio 2016 ero a Milano, al Castello Sforzesco, al funerale di Umberto Eco.
Un evento doloroso, ma sorprendente: ogni allievo che ama il suo maestro, intimamente lo ritiene immortale, pur avendolo visto invecchiare, almeno nel fisico. Mentre aspettavamo fuori dal Castello, insieme a una folla sterminata, c’erano altoparlanti, qua e là, che trasmettevano una musica a me molto familiare. Erano i pezzi per viola da gamba, dal Secondo Libro di Marin Marais, nell’interpretazione di Jordi Savall, e tra questi le variazioni sul tema de La folía.
Non so se esista una musica che nella mia vita io abbia ascoltato più volte di questa. In certi periodi ha rappresentato una vera ossessione, che si allargava alla ricerca delle variazioni sul medesimo tema scritte da altri autori; e ce ne sono tante: Frescobaldi, Lully, Couperin, Geminiani, Corelli, Vivaldi, J.S. e C.P.E. Bach e persino Rachmaninov. Sono tutte belle e interessanti, ma la versione di Marais è superiore a tutte, per la serena malinconia che trasmette, insieme con un orfismo al tempo stesso travolgente e compassato.
Perché proprio questa musica veniva diffusa al funerale di Umberto? Quello che supponevo (ma non osavo ammettere) mi fu confermato un paio di anni dopo da Renate Eco, incrociata del tutto per caso sul treno: semplicemente, era la sua musica preferita, che ascoltava spessissimo. Tutti sapevamo della sua passione per la musica antica; tutti lo avevamo sentito suonare, mediocremente ma appassionatamente, il flauto dolce. Ma scoprire troppo tardi questa estrema convergenza di gusto, proprio su quello specifico brano di Marais, faceva percepire ancora di più il senso di mancanza, il cordoglio, la sensazione di avere sprecato mille occasioni.
Ata Khasaf suona il violoncello, lo strumento moderno più simile e vicino alla tramontata viola da gamba. Questo libro è una sorta di De Profundis, un Requiem, una Lezione di Tenebre di gusto (musicalmente) barocco, una serie di variazioni sul tema del cordoglio e del rimpianto. Ata, di origine irakena, espatriato (e mai rientrato) ai tempi di Saddam Hussein, mio compagno di dottorato di ricerca a Bologna con Eco, ha vissuto in seguito in Olanda, per stabilirsi infine a Londra, dove tutt’ora risiede, suona il violoncello e scrive poesia.
«Dolce breve requiem / fiori di poesia / siano la mia offerta / a sua perpetua / memoria / per quel che infine ha raggiunto / e fatto». È il componimento 121, l’esplicitazione del programma che sta dietro a tutto il libro. Non è facile capire quali influenze agiscano sul verso di Khasaf. Lui scrive in inglese (tradotto in italiano con attenzione da Alberto Nocerino, altro compagno di quegli stessi anni), ma la sua formazione primaria sarà necessariamente avvenuta in arabo, e questa formazione avrà influenzato la sua ricezione delle varie letterature di un’Europa dove ha passato ormai quasi tutta la vita.
I temi che si succedono in questi componimenti sono dunque quelli classici di un compianto funebre: il mistero della morte, la vanità della vita, l’affetto per lo scomparso, le sue passioni, la sua grandezza, la malinconia. Difficile trovare una collocazione per questi versi nel panorama della poesia italiana contemporanea: il fatto è che semplicemente non le appartengono, e nemmeno appartengono a quella inglese, benché sia l’inglese la lingua in cui sono stati stesi. Quando evoco un’ascendenza barocca, non penso né a Giovan Battista Marino né ad Alexander Pope. Non è nemmeno il melodramma, benché ci troviamo già un poco più in zona. John Dowland, semmai, e forse più il musicista che il poeta.
Sarà che non posso leggere e rileggere questo libro senza risentire la passione di Marin Marais, e come riviveva funebremente, ma anche con armonica e serena malinconia, quel giorno al Castello Sforzesco. Credo che a Umberto sarebbe piaciuto questo omaggio più musicale che poetico, nonostante le apparenze, questo tombeau, che ci ricorda Couperin, il medesimo Marais, e poi Stravinsky, Ravel, Aubert…
Dalla prefazione di Daniele Barbieri
Dettagli
ISBN: 978-88-6260-057-6
Casa Editrice: SALARCHI IMMAGINI
Collana: Archetti
Data di pubblicazione: 2024
Pagine: 112
Nella stessa Collana
Non ci sono ancora recensioni.