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Fernando Lena, Daìta Martinez,
LA FINESTRA DEI MIRTILLI
[…] pagine zeppe scritte senza penna
facce di carne con bagaglio appresso
e storie sminuzzate negli sguardi (Nicola Romano)
Non è un libro a quattro mani né una sorta di epistolario, ma soltanto il racconto di due poeti che in una bolla di tempo hanno scelto di raccontarsi servendosi dell’unico mezzo a loro congeniale: la parola poetica.
€ 9,00
Individuare una cornice entro cui far confluire pariteticamente le raccolte poetiche di due autori completamente diversi è compito alquanto complicato. Se poi queste due raccolte, che dovrebbero in qualche modo essere l’una la controfaccia dell’altra, si presentano come due universi di stile ed emozioni completamente differenti, la faccenda si complica. Un conto è trovarsi di fronte a due autori che convergono in un unicum, altro cercare e trovare la corrispondenza intrinseca fra due sillogi che, anziché intersecarsi in un’unica partitura, mantengono caratteri completamente autonomi. Pertanto non possiamo considerare le due parti di questa raccolta “scrittura a quattro mani”, poiché diversi dovrebbero essere i presupposti e il risultato. Già problematica da realizzarsi nella scrittura in prosa, questa pratica compositiva presupporrebbe una fusione linguistica e un’uniformità di regole atte a superare la diversità dei due autori, in una specie di creolizzazione creativa, in modo da dare vita ad un autore “altro”, un autore bifronte. Mi sembra invece più adeguato catalogare l’operazione di Daìta Martinez e Fernando Lena nell’ambito della poesia dialogica: i testi si incrociano pur senza una vera e propria intersecazione, i due autori “si parlano” e parlano al lettore ciascuno per proprio conto, talchè, specialmente in alcuni punti, si ha la sensazione che le due parti de La finestra dei mirtilli vadano a costituire due raccolte a sé stanti e che in tal senso vadano lette, usando una specie di filo d’Arianna come guida per attraversare la loro struttura tematica e formale. Due autori, due stili, due cifre compositive che si alternano in un mosaico composito le cui tessere chiedono di essere analizzate nei loro differenti profili. «ascoltassi almeno una parola dolce di mirtilli». Un sottinteso invito ad un futuro reale incontro con l’altra.
(dall’introduzione di Anna Maria Bonfiglio)
ISBN: 978-88-6260-042-2
Casa Editrice: SALARCHI IMMAGINI
Collana: Archetti
Data di pubblicazione: 2019
Pagine: 43
Alessandro Di Salvo –
Nota di lettura di Elio Grasso
(pubblicata su https://rebstein.wordpress.com/2019/02/27/la-finestra-dei-mirtilli/)
Questo Diario a ore inizia da una mezzanotte indulgente e va avanti con le composizioni di due poeti connessi per un certo tratto temporale e geografico. Non sanno se il loro è un dialogo, una tenzone, una polemica sul mondo, sulle terre a cui appartengono, sulle persone amate o odiate. Su ciò che vedono dalle loro finestre separate. Fernando Lena mette i grammi del suo pensiero, tra vedute e dolori, guarda i passanti nel mezzo di allucinazioni. Daìta Martinez rivela con riguardo le sue fratture, attenta a tener desta la condizione vitale. L’esistenza – suggerisce, accreditando i sussulti orografici dell’intero libro – procede anche quando s’incaglia. L’uso del dialetto siciliano (vera lingua, come per gran parte degli idiomi regionali), misterioso, ctonio, non addomesticato, ci ricorda la sostanza tellurica della decennale ricerca della poetessa palermitana. Le differenze fra i due sono meno profonde di quanto si possa pensare, entrambi possiedono una dismisura espressiva discorde dalle attuali tattiche poetiche. I loro strappi non mitigano la sostanza durissima di realtà e poesia ma la comprendono. Se per Lena l’asfalto è bollente, e i sensi si restringono in vicoli bui, Martinez riesce a sottrarsi all’impero e a convogliare gli svolgimenti del compagno d’avventura verso un’area di sosta a tratti tranquilla. Ci sono pagine in cui le acque trovano lo sbocco necessario, raccontano la propria origine e la musica di partenza, e dunque viene temperato l’attrito sui muri dello scontento, e il racconto apre la via che gli è consona. Sentiero a cui viene conferito un nome, e poi un altro, e un altro ancora. Soprattutto Martinez concede una camminata che non è una conseguenza, ma la prima nascita della scrittura. Gli autori si contendono, nell’attitudine a interloquire, qualità fonetiche e smisurate apparizioni: forgiano qualcosa di nuovo, non una somma d’intenti. Per questo La finestra dei mirtilli appare subito come una creatura unitaria, organismo che a un tempo espone le sue membra senza nulla velare. Sangue scoperto alla vista, e un battito più appartato, sono i cardini di un accadimento poetico avvenuto chissà quando nel corso della vita. Ma l’espressività non si riduce ai soli coacervi dell’esistenza, le questioni private evocano l’allusività di chi non vuole irrigidirsi ma aprirsi al canto talvolta atonale e talvolta sedotto da una benvoluta melodia. È verosimile che si possa incedere senza troppi ermetismi, ma esserne capaci! La finestra è emblema della ricerca d’entrambi, da quel varco può giungere un respiro ampio, desideroso di accarezzare le intenzioni. Accade al termine del libro, poiché se la bellezza dà guai giunge sempre la voce che allenta gli spasmi, e rispetta l’inizio di una lingua appartenuta consapevolmente. Gli autori sanno che non abbandoneranno questa lingua, non la renderanno celibe dopo averla convocata. Sarebbe delittuoso per loro, e funesto per noi. Sarebbe, in una parola, distruttivo. Le poetiche consapevoli s’incrociano e figliano movimenti grammaticali e corporali, finanche echi lontani di esperimenti dimenticati dai più, poiché oggi è epoca di amnesie sradicate. Non così stanno le cose dentro a questa doppia Aussicht, la veduta sulle macerie a cui si rivolgeva l’ultimo Hölderlin. Un canto combatte il silenzio, e in fondo la finestra è pur sempre, per stretto che sia, un varco.